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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri
Su «Libero» del 26.6.09 un libro di Linda Polman (L’industria della solidarietà, Bruno Mondadori) è stato recensito da Ernesto Aloia. I più anziani ricorderanno il caso del Biafra nel 1967, diventato sinonimo di “fame”. Il fatto è che non ci fu alcuna carestia. Il Biafra era la regione più ricca della Nigeria e il suo governatore, Emeka Ojuwku, si ribellò. Il governo reagì col blocco economico ed avrebbe avuto ragione dei ribelli se Ojuwku non si fosse rivolto alla Mark Press, agenzia ginevrina di pubbliche relazioni, perché convincesse il mondo che il governo nigeriano affamava i biafrani. Partirono le foto dei negretti denutriti e le poche Ong allora esistenti cominciarono a mandare aerei di cibo. Ma Ojukwu pretese che parte dello spazio nelle stive degli aerei fosse usato per le armi ai suoi uomini. Poi impose tasse di atterraggio e importazione. Arrivarono legioni di giornalisti e il caso del Biafra divenne internazionale, finanziando l’esercito personale di Ojukwu. Questi nel 1970 fuggì con le sue mogli e auto di lusso verso i suoi conti svizzeri. Oggi le Ong sono trentasettemila e raggranellano come la quinta potenza economica mondiale. Ogni nuova crisi è presentata come «la più grave emergenza umanitaria della storia recente». I loro dirigenti sono professionisti laureati in non-profit management, sono esperti di marketing, di pianificazione e di product placement. L’enorme massa di denaro raccolto (dagli Stati e dai privati) finisce in gran parte nelle tasche dei vari «signori della guerra» (che in alcuni casi arrivano a intascare l’80% degli aiuti). O dei talebani al confine del Pakistan, che incamerano un quarto degli aiuti destinati ai campi profughi che controllano. Insomma, ormai «gli aiuti sono diventati una vera e propria componente delle strategie dei contendenti» nelle varie guerre che si combattono qua e là nel mondo. E l’Africa delle “emergenze umanitarie” è una risorsa a cui legioni di Ong non intendono rinunciare.
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Pubblicato 10 anni fa...
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